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SOMMARIO del 127

La lumaca più razionale dell'uomo, di Luca Ceccacci 
Elezioni, Sinistra, Nonviolenza, di Tiziano Cardosi
Ed ora, ricominciamo!, di Giorgio de Capitani
Aiutiamoci a vivere, di Pasquale Iannamorelli
I sogni infranti di Pippa Bacca
E adesso?, di Ugo Basso
Siamo tutti clandestini, di Gerardo Lutte
La forza della paura, di Enzo Mazzi
“Altro” e “Alieno”, di Enrico Peyretti
Lanza del Vasto, di Remo de Ciocchis
Come schiavi. Gli immigrati nel Sud, di Silvia Fabbri
Monasteri del terzo millennio, di Maurizio Pallante
La pagina celestiniana
I libri consigliati da Qualevita
RIFIUTIamoci di produrre rifiuti, di Paul Connect
Lettere a Qualevita
La poesia  vita
La pagina della Bibbia
Campi Estivi 2008
Qualevita notizie

 

 

EDITORIALE del numero 127

L’IDEOLOGIA DELLA RICCHEZZA

Enrico PEYRETTI

Chi è il berluscantropo? Non è Berlusconi in persona, che è piuttosto una vittima eminente, anche se lui lo rappresenta bene, tanto da potere dargli nome, e anche se, per l’imitazione degli ammiratori, ne moltiplica gli esemplari. Il berluscantropo è un tipo umano sottosviluppato, arretrato e retrogrado (cioè che cammina all’indietro) nell’evoluzione umana. Esiste nel genere maschile, ma anche, sempre più, nel genere femminile. Insieme, essi generano pargoli berluscantropici.
E che cosa è la nonviolenza? È il lungo profondo lavoro autoeducativo, che attinge alle più alte risorse spirituali e morali della storia umana, per dominare le proprie tendenze distruttive, tanto più forti e pericolose quando si ammantano di bene e si scatenano nella distruzione del male. [...]
Fu detto «l’uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio», cioè per vivere davvero ha bisogno di nutrirsi di una vita più grande della sua. Invece, il berluscantropo si sente pienamente vivo nutrendosi di solo pane, ed anzi di ciò che si traduce in tutto il pane, il companatico, e tutti gli accessori desiderabili, cioè il denaro.
Quando il denaro diventa tanto, l’umanità del ricco si appesantisce, si appanna, e cala, per la forza di gravità. Sorge nell’uomo di solo denaro una voglia e una necessità successiva: il potere sugli altri, sia per la necessità di difendersi (il ricco ha paura) col farsi leggi favorevoli, sia per quel piacere più grande del possesso e di tutta la sensualità, che è il comandare. L’uomo imperniato sulla ricchezza e sul potere è un uomo deforme, come se avesse due metri di gambe e quaranta centimetri di busto, o altra simile infelice sproporzione.
Quando il tipo berluscantropo – che ha regnato facilmente in tutti i tempi e luoghi della storia – prende il potere, il problema per la società non è tanto politico quanto antropologico. Perciò, nella storia, i consiglieri morali dei principi, le rivoluzioni sociali e democratiche, ottengono poco e si corrompono se non identificano il virus che produce quel tipo umano e se non gli resistono. Esso circola virulento nell’aria che respiriamo (il fatto stesso di parlarne con orrore indica che lo conosciamo) e sonnecchia in tutti noi.
Difenderci con impegno e costruire in noi dei robusti anticorpi, è la condizione per la liberazione storica e morale dalla spinta retrograda che il potere dei berluscantropi esercita su tutti. 
Questo potere è il peggiore possibile perché privilegia i lati deteriori della natura umana, e  governa col blandire e sviluppare il peggio della nostra umanità. Non è certo da preferire una tirannia violenta, però si deve osservare che mentre la violenza aperta suscita prima o poi la reazione della dignità e della libertà, la violenza blanda consuma ed esaurisce per lungo tempo quelle sane energie umane, tutte dirottate su obiettivi inferiori, minuscoli: l’interesse privato, il possesso materiale, il primeggiare sugli altri.
Noi “dis-prezziamo” quel tipo umano, nel senso che diamo pochissimo valore a quella realizzazione di vita (da non confondere con un sobrio benessere condiviso, che è la libertà dal bisogno). Ma dobbiamo avere pietà di chi ne è infettato, e resistere alla tentazione di odiarlo, che sarebbe un più grave contaminarci. Più che un nemico, è per noi un segno del comune fallimento: la nostra società, la nostra religione, la nostra scuola e la cultura, la politica e l’informazione, le relazioni e le conversazioni quotidiane non hanno saputo evitare, producendo frutti migliori, che un tale esemplare umano sorgesse e attirasse molti, ai nostri giorni.
Abbiamo da fare nulla di meno di un enorme lavoro giusto, necessario, possibile, per una più vera umanità.

 

SIAMO IN ESILIO. E NON CE NE ACCORGIAMO

Pasquale IANNAMORELLI

Mi ha sempre colpito un detto della tradizione rabbinica: «Il vero esilio del popolo d’Israele in Egitto consisteva nel fatto che aveva imparato a sopportarlo».
Non ci avevo mai pensato, ma forse si trova proprio qui la chiave per dare una risposta alla nostra condizione di popolo satollo e insoddisfatto del Nord della terra. Noi, cittadini dello spicchio privilegiato del mondo, ci siamo adeguati in pieno allo stile di vita “egiziano”, a tal punto che ci sentiamo perfettamente a casa nostra nel cuore dell’Egitto, sotto il dominio dei vari Faraoni, soddisfatti nella nostra condizione di schiavi.
Abbiamo imparato molto bene a “sopportare l’esilio”, così bene che non ci consideriamo più degli esiliati, schiavi, stranieri in terra straniera. Al contrario, vogliamo far diventare “egiziano” tutto il resto dell’umanità e consideriamo appartenenti ad una “civiltà inferiore” coloro che non si sono adeguati al nostro stile di vita e ai nostri “valori”.
Ma che vita libera è la nostra, quando la nostra quotidianità, il nostro lavoro, i nostri rapporti con gli altri sono controllati dal Faraone? Certo, oggi non è più quell’esotico personaggio dallo strano copricapo. Ha cambiato connotati e nomi: si chiama Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione Mondiale del Commercio, Televisioni, Supermercati, Alta Tecnologia, Borsa...
Tutte le istituzioni della società sono state assorbite da questo Faraone redivivo: la famiglia, la scuola, i mezzi di informazione, i parlamenti, le chiese, i tribunali, i servizi sanitari: tutte istituzioni che dovrebbero godere di grande autonomia e garantire una qualità umana della vita. E invece... la loro attività è consentita solo fino a quando si sottomettono ai nuovi comandamenti del moderno Faraone: sviluppo e crescita ad ogni costo, concorrenza sfrenata ad ogni costo, libertà imprenditoriale come diritto del più forte ad ogni costo, produttività ad ogni costo. E per chi non riesce a stare al passo di questo ritmo forsennato e profondamente iniquo... un po’ di elemosina.
La sottomissione della vita a questi “valori” non è attuata in modo violento, ma “soffice”, per esempio mediante la pubblicità televisiva la quale – oltre che arricchire in modo abnorme taluni personaggi – modella la coscienza nostra e dei nostri bambini con criteri assolutamente nuovi rispetto a tutti i programmi pedagogici.
A questo proposito sono andato a rileggermi le intuizioni e le provocazioni di Pier Paolo Pasolini. Analizzando lo slogan pubblicitario “Non avrai altro jeans all’infuori di me” (evidente riferimento al primo comandamento), egli vi ravvisava un segno che anche l’Italia era stata raggiunta da una “rivoluzione di destra” (e siamo agli inizi degli anni settanta!), una rivoluzione che incide in profondità perché intacca la sostanza stessa della vita. Definiva questa nuova situazione “fascismo edonistico” oppure “consumismo, fenomeno che determina la completa ed inesorabile repressione di ogni libertà esistenziale”. Pasolini sosteneva che il fascismo storico non ha fatto altro che scalfire appena l’anima degli italiani, mentre il nuovo consumismo, di fatto, è la completa abolizione di quello che un tempo si chiamava anima. E, purtroppo, non mi pare ci sia eccessiva preoccupazione da parte di chi, in nome del Vangelo, dovrebbe custodire gelosamente l’anima, oltre che il corpo delle persone, da questa distruzione galoppante alla quale stiamo assistendo anche in casa nostra.
Non ci rimane che attrezzare il nostro bagaglio interiore per uscire dall’Egitto, per sottrarci al potere del nuovo Faraone. Ma per farlo, occorre avere il coraggio di non sopportare più l’esilio in cui ci troviamo a vivere. È necessario indignarsi e ribellarsi. Ammesso che siamo capaci di riconoscerlo, questo esilio, camuffato sotto le allettanti apparenze di una fittizia libertà. È da qui che dobbiamo ripartire per aiutarci a vivere, l’uno con l’altro. Ogni giorno. Senza stancarci.